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Un approfondimento sull’economia circolare | Paramond Online Sanoma

Scritto da Laura Maria Ferri | mar 31, 2021

Il concetto di economia circolare

Quando pensiamo a un processo produttivo siamo abituati a considerarlo secondo una logica lineare, basata cioè sulla sequenza di attività che inizia con l’acquisto di materie prime, e prosegue con le fasi di trasformazione e produzione, vendita e distribuzione al cliente, successivo utilizzo da parte di quest’ultimo e conseguente smaltimento come rifiuto una volta che il bene non è più utilizzabile, oppure non risponde più alle esigenze o alle aspettative. Questa logica ha dominato il sistema economico fin dalla rivoluzione industriale ed è ancora oggi quella più diffusa; tuttavia, durante l’ultimo decennio è stata oggetto di critiche sempre maggiori, principalmente dovute all’impatto ambientale determinato dall’ingente quantità di scarti e rifiuti che ne derivano e dal considerevole utilizzo di risorse naturali.
Proprio l’acuirsi delle problematiche legate al deterioramento ambientale ha stimolato riflessioni attorno alla possibilità di proporre nuovi modelli e modalità produttive, in grado di minimizzare le conseguenze sull’ambiente naturale, favorendo un migliore utilizzo dei materiali e dei prodotti. Da qui, attorno al 2010, è cresciuto l’interesse attorno all’economia circolare, che mira a favorire lo sviluppo di sistemi economici in grado di rigenerarsi autonomamente, ovvero di ricostruirsi e rinnovarsi riducendo le inefficienze che generano scarti e rifiuti e la conseguente perdita di valore.
L’economia circolare vuole scardinare l’idea secondo cui scarti e rifiuti sono inevitabili all’interno di processi di produzione e consumo, spingendo verso sistemi in cui essi diventano oggetto di programmazione, progettazione e trasformazione; quindi, la proposta non è solo dare nuova vita a scarti e rifiuti, ma trovare soluzioni innovative attraverso cui evitare che questi vengano generati o, laddove impossibile, identificare possibili impieghi alternativi che permettano di evitare la fase di smaltimento. Ad esempio, un’impresa potrebbe cambiare la struttura del prodotto per facilitarne la riparazione o il recupero di componenti ancora funzionanti. Si pensi agli smartphone, che nella maggior parte dei casi vengono sostituiti quando la batteria non garantisce più la durata iniziale oppure quanto si rompe lo schermo, mentre tutte le altre parti potrebbero offrire ancora ottime prestazioni: se fosse possibile sostituire solo i pezzi non funzionanti, si potrebbe ridurre notevolmente la quantità di beni e materiali destinati a smaltimento e, di conseguenza, limitare l’impatto ambientale. Tutti gli scarti e rifiuti, infatti, quando non trovano un’applicazione alternativa, finiscono in discarica o vengono dispersi nell’ambiente provocando inquinamento.
Un’altra caratteristica dell’economia circolare è legata alla promozione di approcci sistemici e collaborativi, basati sull’idea che scarti e rifiuti possono diventare risorse e fattori produttivi per altri processi produttivi. Risulta difficile, infatti, per un’impresa sola trovare nuove applicazioni a componenti o materiali scartati durante lo svolgimento della propria attività; tuttavia, questi stessi componenti o materiali potrebbero diventare utili ad altre organizzazioni: è il caso, ad esempio, di scarti dell’industria alimentare come le bucce d’arancia che, grazie a processi altamente innovativi, vengono trasformati in nuovi filati per le imprese di moda e abbigliamento; oppure, il calore generato dagli impianti produttivi può essere immesso nella rete di teleriscaldamento degli edifici pubblici.
 

Alla base dell’economia circolare, quindi, si pone l’innovazione, in quanto è necessario sviluppare nuove tecnologie, strumenti, servizi e modelli aziendali che rendano possibile applicarne la logica. Come detto, infatti, scarti e rifiuti non sono mai stati considerati come possibili risorse da utilizzare nello svolgimento dell’attività aziendale e, per questo, le soluzioni che permettono di migliorarne la progettazione e la gestione sono ad oggi molto limitate.

L’inquadramento normativo dell’economia circolare in Europa

Il concetto di economia circolare, introdotto già attorno agli anni Settanta, si è consolidato e diffuso a livello internazionale grazie alla Ellen McArthur Foundation e alla sua fondatrice Dame Ellen McArthur, una velista di fama internazionale che, ritiratasi dalla carriera sportiva, ha deciso di impegnarsi a favore della tutela ambientale. Successivamente, anche la Commissione europea ha attuato diverse misure volte a promuovere un impegno sempre più ampio di imprese, istituzioni, organizzazioni non-profit e persone nell’adozione di pratiche di produzione e consumo in linea con i principi dell’economia circolare.
Il primo intervento della Commissione europea risale al 2014 con la comunicazione dal titolo Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti. Con tale documento, si intendeva avviare la transizione a modelli produttivi sempre più circolari. L’importanza che il tema stava rapidamente acquisendo a livello internazionale ha, però, determinato la necessità di proporre già nel 2015 un nuovo intervento, concretizzatosi nella proposta della nuova comunicazione L’anello mancante – Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare, che propone un articolato pacchetto di misure aventi l’obiettivo di aiutare imprese e consumatori ad adottare comportamenti sostenibili e in linea con gli obiettivi dell’economia circolare. Tra questi, ad esempio, favorire l’acquisto e l’utilizzo di materie prime sostenibili, supportare la riparabilità, la durabilità e la riciclabilità dei prodotti, migliorare l’utilizzo di etichette verdi e favorire pratiche di consumo collaborativo. Accanto a ciò, la Comunicazione del 2015 definiva anche obiettivi quantitativi da raggiungere entro il periodo 2025-2035, relativi alla produzione, smaltimento e riciclaggio dei rifiuti alimentari, urbani e da imballaggio.
Un ulteriore passo a favore della transizione verso l’economia circolare è segnato dal documento Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare. Per un’Europa più pulita e competitiva, proposto sempre dalla Commissione europea nel 2020 come uno dei pilastri del Green Deal europeo. Tale nuovo intervento intende rafforzare le misure a favore dell’economia circolare, promuovendo iniziative lungo tutto il ciclo di vita dei prodotti, a partire dalle prime fasi della produzione, fino all’utilizzo, smaltimento e recupero. Le azioni introdotte dal piano d’azione mirano, tra gli altri obiettivi, a responsabilizzare i consumatori, a garantire meno sprechi, a promuovere la digitalizzazione delle informazioni sui prodotti e a incentivare i prodotti in base al livello di sostenibilità. Nel fare ciò, particolare importanza assume il coinvolgimento attivo dei cittadini e delle pubbliche amministrazioni, ritenute fondamentali per diffondere la cultura dell’economia circolare e favorire la circolazione di prodotti e servizi sostenibili. Per quanto riguarda le imprese, le azioni proposte dal piano d’azione si concentrano su alcuni settori critici: elettronica, batterie e veicoli, imballaggi, plastica, tessili, costruzione e edilizia, alimenti.

Gli approcci strategici all’economia circolare

La transizione verso modelli produttivi circolari può essere realizzata da un’impresa secondo diversi approcci strategici. Per semplicità e chiarezza, si presentano qui organizzati in tre macro-categorie (Potting et al. 2017):

  • utile destinazione dei materiali, cui fanno riferimento tutte le soluzioni volte a trovare nuove applicazioni per i materiali ottenuti da scarti e rifiuti;
  • estensione della vita utile dei beni, che include tutte le azioni grazie alle quali è possibile prolungare il periodo di utilizzo, quindi la durata del prodotto o parte di esso;
  • intelligente ripensamento dei prodotti, che si riferisce all’introduzione di innovazioni nei metodi di progettazione, lavorazione o utilizzo dei beni.

Utile destinazione di materiali
In questa categoria rientrano tutte le attività che mirano a individuare possibili nuovi utilizzi degli scarti e rifiuti, principalmente orientati alla produzione di energia o alla trasformazione di nuovi materiali. Alcuni esempi si possono ritrovare nella produzione di concimi per il settore agricolo derivati da scarti alimentari; oppure, dalla produzione di energia verde mediante processi di trasformazione dei residui dei processi produttivi, come il biogas o il biometano.
Sempre in questa categoria si trovano anche processi innovativi che consentono di recuperare e riciclare scarti e rifiuti per ottenere le cosiddette materie prime seconde, termine che si riferisce proprio a tutti i materiali ottenuti da processi di ri-lavorazione. Se in alcuni casi il riciclo di materiali è pratica nota e diffusa, come ad esempio il riciclo della plastica, in altri casi è necessario sviluppare processi di trasformazione altamente innovativi: è il caso, ad esempio, del recupero e riciclo di materiali mai riciclati prima; oppure, dell’introduzione di nuove tecniche di riciclo che consentano di recuperare maggiori quantità di materiale o di incrementare il numero di volte che questo può essere rilavorato. Per quanto riguarda il primo caso, esempi si ritrovano nelle imprese che utilizzano scarti alimentari per produrre nuove sostanze chimiche sostenibili per il settore tessile o farmaceutico.

Nel secondo caso, invece, esempi provengono da imprese che hanno sviluppato processi di riciclo della plastica, che permettono di recuperare il materiale per un numero infinito di volte, diversamente da quanto consentito dalle tecniche di riciclo più diffuse e consolidate.

Estensione della vita utile dei beni
All’interno di questa categoria sono comprese tutte le iniziative che favoriscono un utilizzo prolungato del prodotto, così da ridurre la frequenza con cui un bene è sostituito e, quindi, scartato e smaltito. Tra queste, ad esempio, lo sviluppo di servizi di riparazione o il ripensamento dei prodotti al fine di favorirne molteplici applicazioni. Nel settore tessile, ad esempio, alcune imprese hanno introdotto, accanto alla vendita, anche servizi per aggiustare i capi di abbigliamento dei clienti o per rigenerarli e rivenderli come capi di seconda mano garantiti. Un principio di base di tali approcci strategici è rappresentato dalla modularità, che prevede di progettare i prodotti componendoli in diverse parti, separabili le une dalle altre. In questo modo, è possibile sia sostituire solo le parti eventualmente danneggiate o tecnologicamente superate, sia prevedere personalizzazioni così da adattarli a specifiche richieste dei clienti aumentandone l’utilità e la soddisfazione.

Intelligente ripensamento dei prodotti
L’ultima categoria rappresenta gli approcci più innovativi, che richiedono una revisione complessiva del prodotto, relativamente sia alle caratteristiche materiali sia alle modalità di utilizzo e consumo. Tra gli esempi che si stanno diffondendo maggiormente si possono richiamare la tendenza a favorire il noleggio del prodotto rispetto all’acquisto, noto come product as a service, in quanto il cliente paga per poter utilizzare il bene e non per ottenerne la proprietà. Ad esempio, nel settore automobilistico si sta diffondendo il ricorso a contratti di leasing oppure a forme di utilizzo dell’automobile secondo le quali il cliente può pagare per poter sfruttare il mezzo di trasporto solo in determinati periodi di tempo brevi.
Strettamente connesso a questo concetto è l’ormai noto concetto di sharing economy, che si basa sull’utilizzo di un bene da parte di più persone, che possono condividerne la proprietà o che, più semplicemente, ne condividono l’utilizzo iscrivendosi a piattaforme o servizi dedicati.

Sempre in questa categoria rientrano i casi di imprese che hanno introdotto nuove linee di prodotti o ripensato quelle esistenti sulla base delle logiche proprie dell’economia circolare, come avviene quando un’impresa riesce a sviluppare materiali altamente innovativi. In alcuni casi, questi approcci si intersecano con quelli precedenti, in quanto ad esempio tali soluzioni potrebbero derivare da processi innovativi che consentono di ottenere nuovi materiali di riciclo, come previsto dal primo approccio trattato (utile destinazione dei materiali).
Tra i casi che si possono citare in relazione a questo approccio strategico rientrano il settore del packaging, all’interno del quale sono sempre più frequenti soluzioni volte a sostituire la plastica con materiali meno inquinanti e più riciclabili, come la carta o il cartone. Per quanto possa sembrare semplice, anche piccoli cambiamenti come questi possono richiedere ripensamenti profondi dell’imballaggio, in quanto i materiali hanno diversi gradi di resistenza oppure offrono livelli più o meno elevati di protezione e sicurezza del contenuto: l’impresa, pertanto, deve innovare integralmente la progettazione del prodotto e, talvolta, anche dei processi produttivi.
Da ultimo, si possono citare le iniziative che consentono di ridurre la quantità di materiali necessari per realizzare un prodotto: tra queste, ad esempio, la decisione di rendere il prodotto più leggero – come nel caso delle bottiglie di plastica – oppure la scelta di integrare un numero minore di materiali eterogenei così da facilitarne il recupero e il riciclo del prodotto dopo l’utilizzo.

Referenze iconografiche: Toey Toey/Shutterstock