Le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC, o ICT Information and Communication Technologies) svolgono un doppio ruolo nei confronti dell’ambiente naturale: da un lato possono contribuire a uno sviluppo sostenibile mitigando il costo ambientale delle attività umane, dall’altro, hanno esse stesse un impatto sempre meno trascurabile.
Oggi infatti le TIC contribuiscono in buona misura all’aumento del consumo di energia e risorse e all’impatto ambientale che ne deriva, attraverso tutti gli attori coinvolti, dai data center alle reti di telecomunicazione, fino agli utenti finali, cioè tutti i cittadini del mondo che usufruiscono dei servizi dati e di telecomunicazione.
Per questo motivo è importante essere consapevoli delle opportunità e dell’impatto che l’uso di queste tecnologie comporta e conoscere le buone pratiche che si possono adottare per ridurlo.
Tutti gli attori coinvolti, dai data center agli utenti finali, necessitano di hardware. Le maggiori preoccupazioni ambientali in merito all’uso dei dispositivi elettronici riguardano il consumo di energia elettrica, di risorse e lo smaltimento e il recupero dei materiali provenienti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Waste
from Electrical and Electronic Equipment, WEEE).
Il consumo di energia elettrica prodotta attraverso le fonti di energia non rinnovabile comporta l’emissione di gas serra (Greenhouse Gases, GHG), come il diossido di carbonio, che causano l’innalzamento della temperatura atmosferica. L’impiego di fonti energetiche rinnovabili diminuisce notevolmente la produzione di gas serra e permette di abbattere l’impatto ambientale derivante dal trasporto energetico, causato dalle infrastrutture necessarie per la rete di distribuzione, quando la produzione di energia elettrica avviene direttamente presso il data center o l’abitazione del cittadino (per esempio attraverso i pannelli fotovoltaici).
Il consumo di risorse riguarda sia le materie prime necessarie a produrre i dispositivi elettronici sia il consumo di suolo. Secondo uno studio dell’OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), i dispositivi elettronici impiegati in ambito TIC contengono oltre 60 metalli, di cui alcuni rari. Questo aspetto pone anche un problema etico, perché alcune di queste materie prime vengono ricavate in Paesi in via di sviluppo. Tra questi c’è il Congo, una delle nazioni più ricche di materie prime con uno dei redditi pro capite più basso, dilaniato da guerre ormai endemiche che vedono fazioni opposte, appoggiate da potenze economiche, contendersi il territorio. In questi Paesi, per estrarre i metalli dalle miniere vengono sfruttati i bambini, spesso rimasti orfani a causa della guerra, privati non solo del diritto alla salute, perché lavorando in miniera sono esposti a processi e materiali dannosi per l’organismo, ma anche al diritto all’educazione. Solo i più fortunati riescono a ricominciare una vita normale grazie ai programmi di affido.
Alcuni dei materiali usati per la costruzione dei dispositivi risultano nocivi per la salute e pericolosi per l’ambiente, soprattutto se non smaltiti correttamente. Le batterie a ioni di litio usate nei dispositivi mobili si incendiano facilmente e hanno causato parecchi incendi, soprattutto in Paesi come gli Stati Uniti dove la maggior parte delle abitazioni è in legno. Alcuni stati degli USA, come la California, hanno reso obbligatoria, in svariati prodotti elettronici di largo consumo, l’indicazione di possibili effetti nocivi sulla salute, come allergia, problemi di fertilità o cancro.
Infine, lo smaltimento dei dispositivi elettronici richiede particolari attenzioni per la presenza di metalli e sostanze pericolose e per realizzare nella maniera più corretta il recupero e il riciclaggio dei componenti. Lo smaltimento criminale e lo stoccaggio in grosse quantità, pratica che avviene soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, causano inquinamento, anche radioattivo, e pericoli per la salute umana.
Lo sviluppo di software poco efficienti, che svolgono un compito senza ottimizzare il numero di calcoli, comporta un maggiore consumo di energia elettrica necessaria ai componenti hardware per svolgere i calcoli.
Tutti i dispositivi elettronici (come tutte le macchine in generale) generano calore usando energia elettrica. Il calore deve essere dissipato perché, come l’umidità, può danneggiare i dispositivi stessi; tra questi, i dispositivi di memorizzazione dati risultano particolarmente sensibili al calore e all’umidità.
I sistemi di dissipazione del calore, che possono consistere nella ventilazione, deumidificazione, climatizzazione o raffreddamento dei componenti hardware, consumano energia elettrica e producono inquinamento ambientale e acustico. L’inquinamento ambientale deriva sia dal consumo di energia elettrica sia dai refrigeranti utilizzati per la climatizzazione e il raffreddamento. Attualmente si preferiscono sistemi di raffreddamento che sfruttano il diossido di carbonio, ma sono ancora usati refrigeranti come i freon che risultano essere tra i maggiori responsabili della riduzione dell’ozono stratosferico.
Alcuni sistemi di raffreddamento funzionano ad acqua, causando il consumo di una risorsa vitale e già scarsa in vaste aree della Terra. L’acqua, se non smaltita opportunamente, può generare inquinamento alterando l’ecosistema del luogo di raccolta.
Alcuni dispositivi, come i server, possono causare un elevato livello di inquinamento acustico: talvolta gli operatori dei data center devono utilizzare delle cuffie protettive per evitare che l’esposizione prolungata a forti rumori danneggi in maniera permanente l’udito.
Gli alimentatori elettrici consumano energia elettrica a causa delle dispersioni energetiche che avvengono durante il suo trasporto.
La dispersione aumenta ulteriormente quando è necessaria una conversione da corrente alternata a corrente continua, come nei data center e nei sistemi che usano antenne. Per ridurre questi sprechi sono necessari metodi di costruzione più efficienti. Valgono inoltre le considerazioni di impatto ambientale descritte per l’hardware.
Spesso i data center e i quartier generali delle multinazionali operanti nelle TIC necessitano di interi immobili e ampi spazi, consumando suolo prezioso. Possono essere costruiti in zone fredde, rendendo più facile la dispersione del calore, e adottare tecniche di costruzione attente alla salvaguardia dell’ambiente con limitazioni delle dispersioni di energia. Tecniche di riciclo diminuiscono gli sprechi energetici come, per esempio, il riutilizzo del calore prodotto dalle apparecchiature per riscaldare gli ambienti.
Anche le reti di telecomunicazione hanno un impatto ambientale a causa delle infrastrutture necessarie alla trasmissione delle informazioni e dei campi elettromagnetici creati dalle trasmissioni senza fili.
Le infrastrutture consistono sia in dispositivi e mezzi per la trasmissione di segnali come antenne, satelliti, cavi in rame, fibre ottiche, dislocati sull’intero territorio, sia in dispositivi di rete come router, switch e server dislocati nelle stazioni di trasmissione e ricezione.
Oltre all’impatto ambientale sul suolo, sempre più spesso le infrastrutture si danneggiano e richiedono l’invio sul posto di personale per la manutenzione, che contribuisce all’inquinamento e al consumo energetico. D’altra parte le trasmissioni wireless, ovvero senza fili o cavi, sfruttano le onde radio e le microonde con livelli di energia sempre maggiori.
Questi sistemi hanno un impatto ambientale dovuto alla presenza delle antenne che devono coprire l’intero territorio. Sistemi che lavorano a frequenze radio più elevate, come i sistemi 5G, hanno un raggio di portata più ridotto e quindi richiedono un maggior numero di antenne. Inoltre, tutti i trasmettitori radio creano campi elettromagnetici, il cui assorbimento aumenta il calore dei tessuti corporei.
L’Unione Europea impone limiti all’esposizione ai campi elettromagnetici, ma la vigilanza e il rispetto di questi limiti non è uniforme nelle diverse nazioni. La comunità scientifica non ha un parere unanime e non ha raccolto dati nel lungo periodo sufficienti a provare la relazione tra esposizione a campi elettromagnetici e patologie, rispetto alla quale organizzazioni no-profit e cittadini stanno mostrando sempre maggiori preoccupazioni.
Tutti gli attori coinvolti possono contribuire a ridurre l’impatto ambientale delle TIC.
Per fortuna, colossi come Google hanno fatto propri i moniti lanciati da trattati internazionali, come il protocollo di Kyoto del 1997, o dagli scienziati, che già nel 1998 hanno evidenziato l’aumento della temperatura media annuale nell’emisfero nord del pianeta.
L’attenzione all’ambiente richiede spesso degli investimenti iniziali, ma nel medio lungo periodo porta a un risparmio e, quindi, a un maggior profitto. Le grandi compagnie si possono permettere più facilmente questi investimenti e sono state più ricettive; medie e piccole imprese, che in Italia rappresentano più dell’80% del sistema produttivo, non sempre hanno potuto effettuare questi investimenti.
Sarà responsabilità di tutti sia usare adeguatamente i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sia controllare che questi fondi vengano spesi in maniera efficace.
Il discorso si applica anche alle singole famiglie e al singolo utente, che possono avere sia macro-attenzioni all’ambiente, come l’autoproduzione di energia, sia microattenzioni, con un uso consapevole delle TIC. Tra le azioni che tutti possiamo fare per ridurre l’impatto ambientale ricordiamo le seguenti.
Referenze iconografiche: DAMRONG RATTANAPONG/Shutterstock