«I bambini vogliono scrivere»: così esordiva Donald Graves nel suo Writing. Teachers and Children at Work nel 1983. Questa espressione perentoria risulterà abbastanza stonata a molti di quei docenti che conoscono le facce sgomente dei loro alunni all’annuncio che si devono armare di carta e penna e scrivere. Graves, infatti, parlava dei bambini che imparano la manualità della scrittura e che ne comprendono il valore per affermare la loro partecipazione al mondo dei segni e della comunicazione.
Donald Graves è stato uno dei primi a pensare di trasformare il sistema dell’insegnamento della scrittura negli Stati Uniti, con altri che poi sono diventati i “fondatori” del Writing and Reading Workshop come Donald Murray, Lucy Calkins, Penny Kittle.
Graves lavorava con i bambini e le bambine della scuola primaria, ma le sue affermazioni suggeriscono qualche riflessione anche per la scuola secondaria.
Iniziamo con l’affermazione del fatto che i bambini vogliano scrivere: senza dubbio è vero; chiunque abbia avuto a che fare con ragazzini di 5-6 anni sa che il desiderio di scrivere e leggere è fortissimo. Una volta appreso l’aspetto pratico della scrittura, i docenti sanno che l'entusiasmo va sfumando. Che cosa succede in quei cinque anni? La risposta la dà lo stesso Graves citando una insegnante che afferma di non amare l’insegnamento della scrittura perché l’ha vissuta da studentessa come un’esperienza orribile.
Uno dei motivi per cui gli studenti e le studentesse non amano scrivere è forse perché nessuno ha mai insegnato loro a farlo davvero e si ripetono, di generazione in generazione, gli stessi meccanismi che non soddisfano né il docente né lo studente.
Prendiamo ancora spunto da una delle fondatrici del WRW, Lucy Calkins, che apre la seconda edizione del suo The Art of Teaching Writing con queste parole: «Se il nostro insegnamento è un'arte, dobbiamo attingere a tutto ciò che sappiamo, sentiamo e crediamo con lo scopo di creare qualcosa di meraviglioso. Per insegnare bene non abbiamo bisogno di tecniche, ma di una visione di cosa è essenziale.».
Ma che cosa è essenziale insegnare ai nostri studenti per scrivere bene?
Al termine della scuola secondaria di primo grado l’allievo dovrebbe essere in grado di produrre testi di diversa tipologia e forma coesi e coerenti, adeguati all’intenzione comunicativa e al destinatario, curati anche negli aspetti formali.
Così recita il paragrafo finale della sessione scrittura delle Indicazioni Nazionali per il Curricolo del primo ciclo: si può notare un interessante uso del condizionale del verbo servile “dovere”: l’allievo dovrebbe essere in grado… Il verbo “dovere” dalla sfumatura desiderativa dice molto sulla difficoltà della scuola italiana nel formare individui in grado di produrre testi che abbiano le caratteristiche descritte. Questo senso di impotenza, che traspare anche nelle parole del legislatore, mette in luce il fatto che scrivere bene è una pratica che richiede uno sforzo importante sia da parte del docente sia da parte dei ragazzi.
Eppure si può fare, se si ha ben chiaro cosa è essenziale.
Cosa fa un bravo scrittore: legge molto, nella sua testa vi sono modelli diversi nei quali identificarsi e fili rossi da seguire; osserva, ascolta, guarda quello che lo circonda, riflette su sé stesso e si interessa; pianifica, almeno a grandi linee, quello che vorrebbe scrivere; scrive e riscrive tante volte fino a quando ogni descrizione, ogni dialogo, ogni parola non sono quelli, e quelli soltanto, perfetti per il suo testo.
Sicuramente questa lista è riduttiva, ma più o meno il lavoro dello scrittore funziona così.
È questo l’essenziale che dobbiamo insegnare alle nostre studentesse e ai nostri studenti.
Il Writing Workshop è un laboratorio di scrittura in cui un esperto, il docente, insegna ai suoi alunni a scrivere; essendo un laboratorio, tutto il processo di scrittura avviene a scuola.
A scuola l’insegnante insegna su come procedere nel lavoro, lo studente applica quanto appreso, l'insegnante parla con i singoli alunni per sostenerli, sollecita riflessioni, dà spunti di lavoro; gli studenti scrivono e riscrivono.
Il proprietario della cartoleria sotto casa mia ogni volta che mi vede acquistare una penna rossa si fa salire l’ansia al solo ricordo di quei fogli protocollo martoriati. Cattivi ricordi per entrambi, studenti e professori. Le ragioni sono molte, ma se ci si domanda quanto peso ha il docente al momento della scrittura, ci si rende conto che nella scuola secondaria il suo ruolo spesso è relegato alla correzione finale. Tutto ciò che accade durante la scrittura lo vede assente o, semmai, interpellato per un consiglio da parte degli alunni più insicuri.
Il posto dell’insegnante durante la scrittura, invece, deve essere di fronte alla classe quando spiega la lezione del giorno e poi seduto accanto ai suoi alunni e alle sue alunne nel momento in cui sperimentano gli insegnamenti ricevuti.
Nella consulenza l’insegnante si interessa, cerca di capire e di far capire, non risolve il problema. Può rispiegare qualcosa che l’alunno non ha capito o creare per lui una lezione ad hoc: questo vuol dire che si tratta di veri e propri momenti formativi individualizzati, preziosi per alunni e docenti.
Gli alunni e le alunne del laboratorio scrivono testi di vari generi e varie tipologie; ampio spazio è riservato alla ideazione, alla pianificazione, alla stesura e revisione dei testi. Si tratta di processi abbastanza lunghi che impegnano studentesse e studenti per qualche settimana a seconda della complessità degli argomenti trattati.
Ai temi della scuola tradizionale, quelli che possiamo definire testi su traccia, viene riservato uno spazio circoscritto. Lo studente abituato a scrivere ponendosi numerose domande su cosa e come scrivere non trova grosse difficoltà quando si trova davanti tempi ristretti di qualche ora. Si può dire che il testo su traccia, il tema in classe, è trattato come una tipologia a sé stante, importante da saper fare, indispensabile per il proseguimento degli studi e per il lavoro.
Visto che non viene assegnata una traccia per la scrittura, gli alunni devono scegliere che cosa scrivere in modo autonomo: questo è un punto essenziale. Attenzione: non si tratta di temi a piacere, ma di scelte quasi sempre inserite all’interno di una cornice che è quella del genere letterario affrontato in quel preciso periodo dell’anno.
La scelta libera incentiva la motivazione e quindi anche l’impegno e la qualità finale del testo. La libertà equivale all’autenticità: l’argomento scelto in modo libero permette alla voce dell’alunno scrittore di emergere più chiaramente, perché ciò di cui sta parlando gli sta a cuore.
Un percorso di scrittura parte dall’acquisizione di dimestichezza con il genere trattato attraverso la lettura di testi; segue poi la ricerca intorno all’idea sulla quale scrivere e il primo brogliaccio, quindi la scrittura vera e propria che può avere varie fasi di revisione. Il tutto si conclude con un editing, un controllo finale con particolare attenzione all’ortografia e alla forma, e infine la pubblicazione, ovvero la consegna, accompagnata da note metacognitive.
Vediamo nel dettaglio le singole fasi.
Durante la settimana sarebbe bene prevedere almeno due sessioni di un’ora circa dedicate alla scrittura, meglio se tre: è importante, infatti, che gli studenti e le studentesse siano immersi nella scrittura in modo da renderla anche più fluente e meno faticosa. Ogni sessione è suddivisa in tre parti:
Il cuore della sessione di scrittura è la sperimentazione da parte dell’alunno. Per questo motivo la lezione del docente è molto ridotta. Se si parte dal presupposto che si possa insegnare a scrivere in modo complesso, articolato e profondo, diventa evidente quanto siano necessari insegnamenti puntuali e applicabili.
Così l’insegnante prepara brevi lezioni con indicazioni precise che riguardano ogni aspetto della scrittura: come usare i connettivi in un testo espositivo; come creare suspense in un racconto horror, come far emergere i sentimenti di un personaggio o come si costruisce una metafora. I tempi della lezione devono essere molto contenuti, ma soprattutto l’argomento deve essere chiaro e circoscritto a una sola istruzione, perché deve essere sperimentata subito nel testo che gli alunni stanno scrivendo: deve essere una minilezione.
Nel compito in classe tradizionale, il momento della correzione avviene alla fine della scrittura di un testo che viene letto dall’insegnante nella sua forma definitiva.
Diverso è per un testo scritto all’interno del laboratorio, perché il docente si trova in mano tutto il processo che ha portato al pezzo finito, dalla prescrittura alla riflessione metacognitiva.
La correzione interviene, quindi, laddove non ha funzionato la relazione, dove l’alunno non è riuscito a utilizzare i consigli del docente, le strategie apprese, le indicazioni sull’editing.
L’insegnante corregge i punti in cui l’alunno dimostra di non aver capito o di aver operato in modo non riflessivo: per esempio, accade che per la fretta parti intere del testo non vengano modificate nel corso delle bozze, nonostante vi siano evidenti problemi, oppure che il testo si distacchi dalla prescrittura e proceda in modo casuale e caotico senza un piano preciso.
Risulta evidente quindi che la valutazione deve mirare a considerare tutto il processo di scrittura e non solamente la stesura definitiva.
In questo modo anche un pezzo di scarso valore, ma corretto, ben leggibile, pertinente e completo può essere valorizzato: a scuola non si impara a diventare scrittori di successo.
Il laboratorio è un efficace strumento di inclusione: anche gli alunni che presentano difficoltà di vario genere possono ottenere risultati soddisfacenti, in quanto la presenza del docente con le consulenze durante la scrittura e la valutazione basata sul processo permettono di riconoscere a chiunque il lavoro svolto, sostenendo anche chi non ha alle spalle un contesto familiare solido o difficoltà personali. Insegnare con il laboratorio permette a tutti lo stesso sostegno da parte dell’insegnante e uguali tempi di lavoro, riducendo il divario sociale che tanto pesa nel successo scolastico dei nostri studenti e delle nostre studentesse.
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