Nel primo numero di Folio.net era stato suggerito un primo assaggio di testi e spunti per avviare nelle classi dei percorsi di approfondimento sui grandi temi proposti per quest’anno per ripensare l'insegnamento dell’italiano (Sei libri per i sei temi di Progetto Italiano >>). Il focus in questo numero è la consapevolezza e come per ogni viaggio, fissata la meta, occorre concentrarsi sull'equipaggiamento, gli strumenti, l’abbigliamento.
In accordo con il pensiero di Luca Serianni – Serianni L., L’ora di italiano. Scuola e materie umanistiche, Editori Laterza, Bari 2012 – cui tanto si deve in questo progetto, insegnare italiano significa sapersi destreggiare utilizzando tipologie differenti di testi. In linea con una proposta che possa dirsi realmente spendibile in didattica occorre spingersi oltre la vulgata del libro di lettura, della scheda e della traccia per una produzione scritta.
Per non smarrirsi, o per smarrirsi con consapevole suggestione, nel labirinto di parole e idee farò delle proposte di riflessione, come dei fili di Arianna, suggerimenti per la discussione oltre che per l’approfondimento con gli studenti.
Ogni testo presenta le sue insidie e le sue opportunità: a voi seguire il filo con i vostri alunni, individualmente, meglio ancora in team o dipartimento. Parafrasando liberamente, nessun docente è un’isola, e per strutturare percorsi complessi occorre confrontarsi, arricchirsi, rendere palesi i dubbi, imparare come perorare le nostre idee. Quanto alla profondità o alla mancanza di struttura dei fili, osservo che a volte basta poco per accendere una scintilla, per trasformare un filo in textum. Bastino quindi gli spunti: a voi docenti la sfida stimolante di adattarli, riproporli e declinarli nella vostra classe unica e irripetibile.
Infine, la meta: insegnare la consapevolezza, ovvero quanto di meno insegnabile possa essere pensato, il termine di un percorso in cui il conoscere decanta per riflettere su sé stesso. La consapevolezza non si insegna, credo, ma la si matura, la si definisce, a volte, per contrasto: la consapevolezza del rischio porta alla prudenza, della morte all’amore per la vita, dei propri limiti alla fragilità di ogni cosa. Buone letture.
Jutta Richter, Quando imparai ad addomesticare i ragni, Salani, Milano 2003
Rainer, il guastafeste, è un bambino diverso dagli altri: si mangia le caccole, dice parolacce, soffre d’asma, è violento. Nessuno vuole avvicinarlo tranne una bambina di 8 anni, io narrante e protagonista della storia. Nonostante tutto Rainer è simile a lei: anche lui vede cose che gli adulti fingono di non vedere. Rainer, con le sue stranezze, sa ascoltare, addomestica i ragni, allontana i mostri, ma è anche costretto a combattere la sua personale guerra contro il pregiudizio, il non essere accettato, la malizia crudele del gruppo dei bambini “normali”. Un giorno, durante una lite, Rainer sfoga la sua rabbia repressa innescando una catena di eventi che porteranno la protagonista a compiere delle scelte: riflettere su sé stessa. Essere consapevole che diventare adulta comporta compiere scelte dolorose, irreparabili, a volte, semplicemente meschine. Il bene e il male hanno il sapore di un’amicizia tradita in un campo di gioco.
Spunti per la riflessione in classe
Diversi da chi
Rainer è un bambino problematico. Ma lo è davvero? Oppure ciò che ha vissuto, la famiglia nella quale è cresciuto, hanno influenzato il suo modo di essere? Riflettete in classe sugli stereotipi e sui pregiudizi.
Collezionisti di tesori
La protagonista raccoglie e conserva piccoli oggetti, tesori di un mondo di narrazioni e fantasie. Per certi versi, lo facciamo tutti: accumuliamo oggetti singolari che costruiscono la nostra storia e la nostra identità.
Convivere con le proprie paure
Non è semplice diventare adulti. Come accade alla protagonista, occorre confrontarsi con le proprie paure e, allo stesso tempo, imparare a fare delle scelte. Entrambe operazioni complesse e che ci mettono in discussione.
Diario di un castigo
La protagonista viene costretta a rimanere nella propria camera. È l’occasione per riflettere su ciò che è accaduto. A volte il silenzio e la solitudine permettono una maggior introspezione: è il tempo per pensare e costruire.
John Boyne, La sfida, Bur, Milano 2013
Durante le vacanze scolastiche, il giovane Danny rientra a casa dopo un pomeriggio trascorso giocando a calcio, ma non trova nessuno. La madre viene scortata a casa dopo alcune ore da due agenti, accusata di aver investito un bambino, Andy, ora in coma all’ospedale. Benché lei non neghi quanto accaduto, non si ritiene responsabile, ma vittima di una dolorosa, sfortunata, coincidenza.
È l’inizio di una spirale di silenzi, litigi e solitudine che spinge Danny a tentare di scoprire che cosa sia realmente accaduto. Dopo una festa di compleanno che esaspera l’equilibrio familiare, la madre di Danny appare sempre più assente e spaventata dal processo, mentre Danny diventa intrattabile al punto da litigare anche con il padre. Smarrito e affranto, incontra Sarah, la sorella di Andy, che rivela come, pochi attimi prima dell’incidente, lei e il fratello stessero giocando sul bordo della strada, notizia che accende un’ultima speranza di riscatto. Ma non sarà facile dimostrare la verità, almeno fino a quando, Andy, uscito dal coma, permetterà di chiudere, positivamente, la terribile esperienza.
Spunti per la riflessione in classe
I pericoli della strada
Un incidente d’auto, una svista, una frazione di secondo. La madre di Donny investe Andy provocandogli un coma, fortunatamente reversibile.
L’imponderabile
La famiglia di Donny non è una famiglia perfetta, eppure tutto sembra, apparentemente, sotto controllo. Basta poco però per gettare un’ombra sulle relazioni tra tutti i membri. La paura di aver fatto del male atterrisce la mamma di Donny facendola allontanare dagli altri.
Lontano da tutti
Donny scappa di casa, ruba, si addormenta a notte fonda solo, ferito, nel parco cittadino. Sarà Pete, il fratello maggiore a ritrovarlo e a ricondurlo a casa.
Di chi è la colpa?
Il romanzo presenta un lieto fine, ma offre lo spunto per riflettere sulle responsabilità e sul senso di giustizia.
Pablo De Santis, L’inventore di giochi, Salani, Milano 2006
Dopo l’inspiegabile scomparsa dei genitori, durante un viaggio in mongolfiera, il giovane Ivan Drago, introverso e amante dei giochi in scatola, è costretto a trasferirsi all’incredibile Collegio Possum, un edificio che sprofonda in modo inesorabile nel terreno. Contemporaneamente gli viene recapitata una lettera che lo informa di essere tra i vincitori di un concorso per la creazione di un gioco in scatola ideato 5 anni prima per la Compagnia dei Giochi Profondi.
Circondatosi di amici e sfuggendo a temibili bulli, Ivan cresce nella consapevolezza di dover scegliere il proprio destino e fuggire. Grazie all’aiuto della bella Anunciacion scappa e giunge alla mitica città di Zyl, dove ritrova suo nonno, un anziano grande inventore di giochi. Il nonno coltiva gli interessi e il talento del nipote sperando che possa riportare la città all’antico fasto: una strana maledizione distrugge lentamente le case e l’umore degli abitanti. Ivan dovrà combattere, come in un gioco in scatola fin troppo reale, l’oscuro Morodian, capo della feroce Compagnia e responsabile della caduta di Zyl e della scomparsa dei suoi genitori.
Spunti per la riflessione in classe
Il pezzo mancante
Morodian ha rubato un pezzo della mappa di Zyl, composta come un grande puzzle in cui ogni cosa ha un suo posto. L’autore usa una bella metafora per indicare come le comunità siano fatte dall’insieme di singole parti.
Le scelte difficili
Ivan usa il gioco anche per scappare dal Collegio Possum, dimostrando di essere molto bravo a utilizzare le sue competenze per ideare una strategia vincente. Eppure i suoi genitori non erano particolarmente contenti delle sue attitudini e avrebbero preferito che non seguisse le orme del nonno.
Giocare è un’arte
Il nonno di Ivan è stato un grande inventore di giochi e non ha smesso di considerare la vita un grande, complesso, gioco.
La ricerca del talento
Ivan ha un talento, indubbio: anche lui è un inventore di giochi. Sembra non avere bisogno di “studiare”, è una capacità innata o che si risveglia piano piano. Oppure è un qualcosa che Ivan ha sviluppato in modo costante nel tempo, dedicando, senza accorgersene, tempo e passione.
Arthur Miller, Morte di un commesso viaggiatore, Einaudi, Torino 1997
Testo ancora attualissimo e terribilmente coinvolgente. Da più di trent’anni, il sessantenne, Willy Loman, agente di commercio, viaggia attraverso gli Stati Uniti per vendere i suoi prodotti, grazie ai quali può permettersi una vita borghese e moderatamente agiata, ma che hanno condizionato il suo modo d'essere, di pensare, di vendersi. Un improvviso banale incidente e un infruttuoso viaggio lo spingono a riflettere sulla precarietà della sua situazione, ormai soggetta al trascorrere del tempo, alla stanchezza, alla vecchiaia, alla felicità di facciata della sua famiglia.
Anche i figli, Biff e Happy, sono fonte di preoccupazione, alla continua ricerca di stabilità e schiacciati dal Sogno Americano: una smania di riuscire a imporsi, ma che irrimediabilmente li condanna a essere dei falliti. Il licenziamento di Willy coincide con il definitivo sgretolamento della sua identità posta di fronte a dubbi e incertezze incolmabili: il suo ruolo sociale, l’essere padre e, infine, marito di Lidia, la donna che con continue rinunce lo ha assecondato. Per lei, in un ultimo gesto titanico di riscatto, compirà la scelta definitiva per porre temporaneo rimedio al grigiore di una vita che non ha soddisfatto le aspettative di nessuno.
Spunti per la riflessione in classe
Addentrarsi nella giungla
Per Ben e Willy la vita è una giungla nella quale occorre lottare con ogni mezzo per sopravvivere. Ma i mezzi in realtà sono limitati dall’orizzonte ristretto dei Loman: l’apparire e la violenza.
Piccolo Vademecum di meschinità
Willy propone a Biff, prima dell’incontro con Bernard, una serie di trucchi e malizie del commercio foot-in-the-door: «per evitare che ti chiudano la porta in faccia, blocca la porta con il piede!». Eppure, nonostante questi consigli appare un borghese piccolo, perso in una realtà illusoria, tanto da non “valere una cicca”.
Ogni cosa è vanità
Il libro racconta la storia di una famiglia fondata sulla menzogna. Linda stessa mente.
Potere della Narrazione
Miller riesce a scomporre l’unità scenica, sovrapponendo momenti temporali diversi: in questo modo sembra di osservare contemporaneamente azioni in contesti diversi, come se le pareti della stanza scomparissero. La stessa struttura delle sequenze appare magistrale: passato e presente della vita di Willy si richiamano in una spirale tragica.
Nora Krug, Heimat, Einaudi, Torino 2019
Chi siamo quando diventiamo parte di un gruppo che definisce la nostra identità? O meglio: la nostra identità è definita dal gruppo nel quale siamo inseriti? Cosa o come cambia la nostra identità di fronte a un confine geografico, una religione, una scelta politica? Nora è una giovane tedesca in cerca delle sue radici che affondano in uno snodo storico complesso, lacerante e ambiguo: la Germania nazista. Per ricostruire la storia della sua famiglia, l’autrice deve rimuovere un cerotto di silenzi, pregiudizi e verità nascoste senza timore di affrontare i demoni del passato e le angosce del presente. La responsabilità storica di un popolo e quella individuale di una donna vengono analizzate con documentaristica precisione in una ricerca di senso, di cimeli e memorie che confluiscono in una narrazione diaristica, che strizza l’occhio al reportage di forte presa che alterna disegno, fotografia, racconto. Un album di famiglia, a partire dal nonno e dallo zio, che unisce la grande e la piccola storia fatta di gesti, oggetti e parole quotidiane. Un viaggio nel tempo e nello spazio che evita la retorica mainstream e trasforma la ricerca storica in narrazione toccante: le colpe dei padri, necessariamente, ricadono sui figli.
Spunti per la riflessione in classe
Cerotti e colla
Otto splendidi e suggestivi frammenti di diario introducono nel romanzo altrettanti temi fondanti.
Essere o non essere fieri
La dolorosa ricerca di identità, anche per negazione, spinge Nora a cancellare, riscrivere, ridefinire le proprie origini, salvo poi riscoprirle attraverso un lungo percorso di digestione del passato.
Il valore della distanza
Tra i traguardi dell'obiettivo 16 dell’Agenda 2030 si invita a garantire un pubblico accesso all’informazione per proteggere le libertà fondamentali. Senza la possibilità di accedere ai dossier riservati ai cittadini della ex DDR Nora avrebbe potuto scrivere poco sul suo passato e sulla sua famiglia.
Potere delle immagini
La singolare commistione di differenti registri narrativi ed espressivi rende Heimat un unicum dalla forte valenza immaginifica.
Amélie Nothomb, Acido solforico, Voland, Roma 2010
Concentramento è il raccapricciante titolo di un reality show ambientato in una società distopica: con regole riprese da quelle dei campi nazisti, un progetto volutamente segreto pensato in modo tale che i partecipanti agiscano nel modo più realistico possibile. Una troupe televisiva, senza chiedere né autorizzazioni né consensi, si occupa di prelevare i concorrenti che vengono deportati sotto l’occhio di telecamere pronte a catturare ogni istante, ogni espressione, ogni dolore. La bella e angelica Pannonique perde la libertà e il proprio nome, ma incontra il suo corrispettivo sulfureo, la kapò Zdena. Una contrapposizione fatta di dialoghi in cui il Bene e il Male si fronteggiano, si ricorrono, si annodano l’uno nell’altro in episodi di brutalità e blandizie fino a quando Zdena si innamora di Pannonique. Quest’ultima conserva la sua dignità, diventa un punto di riferimento per coloro che resistono e si erge a paladina dello show, capace di influenzare il televoto che determina chi verrà giustiziato, in diretta. Entrambe ne usciranno cambiate: Pannonique scoprendosi capace di perdonare, Zdena acquistando la consapevolezza di una necessaria gratuità del Bene.
Spunti per la riflessione in classe
Uno sguardo inquietante
C'è veramente qualcosa di morboso nel piacere provato dagli spettatori che, afferma Nothomb, sono i veri responsabili e gli unici colpevoli. Chi osserva e non interviene è un ipocrita.
Violenza
Le premesse narrative del romanzo hanno evidenti radici storiche e psicologiche. L’ignoranza e la frustrazione dei kapò li rendono aguzzini perfetti. La violenza è l’unica loro chiave di riscatto, eppure Zdena coglie un’altra opportunità.
Pedagogia della resistenza
È possibile una pedagogia della resistenza e dell’opporsi? Saper dire di no nei momenti chiave della vita e della storia richiede grande consapevolezza, non tanto di valori etici quanto del proprio ruolo.
Nel nome, il senso
Conoscere il nome delle cose e delle persone significa entrare in contatto, possederne una parte oppure, in caso contrario, avvertire i limiti del proprio potere. Così sapere il vero nome di CKZ 114 è l’inizio di una metamorfosi per Zdena. Che sia una metafora della conoscenza? Comprendere il perché delle cose ci rende liberi di scegliere, di approfondire, di spingerci oltre?
Ma le parole spesso non sono sufficienti. EPJ 327 è un professore: la cultura e la letteratura sembrano costituire un’arma di riscatto contro le barbarie di Concentramento, eppure lui sembra non avere né le parole né la forza per comprendere appieno la realtà del Campo e così impara a suonare il violoncello per parlare, con una voce simile ma più complessa, all’umanità.
Referenze iconografiche: Federico Massa/Shutterstock