“Cittadinanza digitale” è espressione sempre più usata negli ultimi anni all’interno del dibattito sulle nuove tecnologie e la vita quotidiana, e ora anche a scuola. Assieme a “Costituzione” e “Sviluppo sostenibile”, rappresenta uno dei tre assi della macro-categoria dell'Educazione civica, la cui ultima definizione è contenuta nelle Linee guida per l’insegnamento dell'Educazione civica, cui sono dedicate 33 ore di studio interdisciplinare in tutto (D.M. n. 35 del 22/06/2020, in applicazione della Legge 92 del 20/08/19 pdf scaricabile.
Nonostante la chiarezza dei due termini da cui è composta, non è intuitivo definire cosa sia in pratica, quali siano le specifiche competenze e come si esplichi nella vita di ognuno: bastasse l’aggettivo “digitale” a specificare un concetto già assimilato - quello di cittadinanza - potremmo semplicemente operare una estensione “in digitale” della cittadinanza tradizionale.
Seguendo questo approccio, la cittadinanza digitale potrebbe essere illustrata in termini di diritti e doveri, emersi e identificati (e forse non ancora completamente) con l’impatto sempre maggiore delle tecnologie e del web sulle persone e sulla società nel suo insieme, rifacendoci quindi a un quadro di norme preesistenti piegate a nuove esigenze.
Tale approccio corre il rischio di portare a una visione meccanicistica che, soprattutto in ambito scolastico, permette sì di trasmettere un messaggio semplice e definito (grazie al web puoi fare questo... ma devi stare attento a non fare quello), senza però chiarire di che cosa stiamo parlando, da dove derivino tali diritti e doveri, e quale legittimità abbiano: quando parliamo di digitale, di cosa ci reputiamo cittadini? Il “cittadino digitale” è cittadino dello stato italiano o di un generico (e trasnazionale) “mondo della Rete” ? Perché è così importante che i nostri studenti posseggano questa ulteriore cittadinanza, e cosa comporta?
L’Enciclopedia Treccani definisce il termine cittadinanza come «vincolo o condizione di appartenenza a uno Stato, che di conseguenza rende l’individuo legato ad esso da diritti e doveri che tale relazione comporta». È la risultante di tre processi differenti: il rapporto intercorrente fra potere e cittadino all’interno di un preciso ordinamento politico; la partecipazione attiva del cittadino alla vita pubblica, il rapporto fra individuo e collettività.
La Cittadinanza digitale, nella definizione più semplice, è rappresentata dalla capacità del cittadino di partecipare alla vita online: passiamo quindi da un concetto di cittadinanza in relazione all’appartenenza a uno Stato a quella di abitante di una comunità, che è online, virtuale.
Traslando quindi in digitale i tre processi, possiamo identificare tre ambiti:
Alla base delle tre direttrici vi è l’accesso a Internet quale diritto che favorisce l’esercizio di altri diritti fondamentali - dalla libertà di espressione a quella di informare ed essere informati, dall’iniziativa economica alla possibilità di innovare - ed è condizione necessaria per il pieno sviluppo individuale e sociale, come indicato dalla Dichiarazione dei Diritti in Internet e sancito da numerose organizzazioni sovranazionali (fra cui ONU, G8 e UE).
Ritornando alle linee guida del MIUR sull’Educazione civica a scuola «per ‘Cittadinanza digitale’ deve intendersi la capacità di un individuo di avvalersi consapevolmente e responsabilmente dei mezzi di comunicazione virtuali», in un’ottica di sviluppo del pensiero critico, sensibilizzazione rispetto ai possibili rischi connessi all’uso dei social media e alla navigazione in Rete, e contrasto del linguaggio dell’odio.
Per identificare quali competenze siano necessarie per raggiungere tali obiettivi e perché non si creino condizioni di divario fra le diverse nazioni europee, l’Unione europea ha proposto un Quadro per le competenze digitali dei cittadini, il DigComp, pubblicato per la prima volta nel 2013 e aggiornato annualmente.
Il DigComp identifica le componenti fondamentali della competenza digitale, suddividendole in cinque aree:
Quando parliamo di cittadinanza, parliamo di qualcosa di cui i nostri allievi hanno avuto esperienza. Far parte di una comunità, sapere che vi sono norme da rispettare (scritte o meno), che vi sono leggi e punizioni, e contemporaneamente essere a conoscenza dei benefici che comporta appartenere al proprio gruppo rientrano in un processo di apprendimento naturale, su cui la scuola interviene integrando e proponendo definizioni corrette e approfondendo conoscenze, competenze e comportamenti.
Abbiamo visto come non sia intuitivo identificare cosa vuol dire essere “cittadino digitale” e quindi riconoscerne i benefici. Da una parte, esistono framework come il DigComp, dove vengono illustrate le attività che il cittadino digitale dovrebbe padroneggiare. Ma dall’altra, abbiamo anche in questo caso competenze informali che i nostri allievi già possiedono ma che probabilmente non riconoscono come abilità utili per partecipare alla vita online.
Si può utilizzare un approccio “bottom-up”, dal basso verso l’alto, che parte dunque da quanto già i ragazzi conoscono, e intervenire per migliorare e approfondire quanto percepiscono come propria capacità, ricollocandolo all’interno di un quadro di riferimento.
Ad esempio, diversi studenti che giocano online a MMO (Massively multiplayer online), come League of Legends o Among Us, combattono, chattano e si scambiano informazioni in inglese. Potrebbe essere interessante raccogliere in classe termini e interlocuzioni utilizzate in Rete per identificarne origine e corrispondente “corretto” in lingua, svolgere i maggiori acronimi e quindi sfruttare le conoscenze preacquisite.
Restando all’interno dei giochi, i forum hanno regole molto rigide e i ragazzi sono perfettamente consapevoli di che cosa li porti a essere bannati (= mandati via dal forum), o ripresi. Sono gli alunni stessi che potrebbero dunque elencare le norme di comportamento, ciò che è consentito o meno, per creare una sorta di regolamento del comportamento civile in Rete (con un termine tecnico di cui spesso i ragazzi sono ignari, netiquette) da adottare anche in classe.
Un sostegno a un lavoro “dal basso verso l’alto” può venire dal Teacher’s kit, elaborato dal progetto europeo Transmedia literacy, che presenta una serie di abilità transmediali e strategie di apprendimento informali, legate a capacità e conoscenze usate quotidianamente dai ragazzi, ma non ben identificate, e costruendo su di esse attività di lavoro, suddivise per discipline.
Sebbene l’insegnamento dell’Educazione civica non abbia attualmente un monte ore annuale specifico, rispetto al digitale è spesso possibile lavorare sulle competenze all’interno della propria materia e dell’argomento da trattare. Un esempio semplice riguarda la questione delle fonti di informazione. Se insegno storia o scienze naturali, italiano o filosofia, parlerò nel corso delle lezioni delle fonti storiche, del metodo scientifico, delle fonti orali, iconografiche, materiali… Può diventare prassi del docente identificare e mostrare qualche sito affidabile per la propria disciplina, aprendo anche a un breve confronto in classe: quali sono le caratteristiche che rendono questo sito affidabile rispetto ad altri? oppure: come posso utilizzare il materiale presente rispettando i diritti di autore?
Uno strumento che può essere utile per lavorare sulla comunicazione online e sulle fonti in ogni disciplina è il CRAAP Test.
Sviluppato originariamente in ambito universitario nel 2004, il CRAAP Test è attualmente utilizzato in ambito scolastico in tutto il mondo. È un questionario per la valutazione delle fonti utilizzate che, sebbene abbia una struttura molto rigida, può venire utile per avere un modello comune, sia orizzontalmente per le differenti discipline, che verticalmente, in tutto il percorso scolastico. CRAAP infatti è un acronimo di cinque parole, ovvero Currency (attualità), Relevance (rilevanza), Authority (autorevolezza), Accuracy (accuratezza o precisione), Purpose (scopo), che indicano parametri di valutazione, e per ognuno dei quali sono indicati diversi item da verificare. Negli Stati Uniti ad esempio vengono presentate le cinque parole già a partire dalla scuola primaria, in modo che i bambini comincino a familiarizzare con i termini che, durate il percorso scolastico, verranno approfonditi in maniera sempre maggiore.
Il risultato finale è un questionario composto da 50 item cui attribuire un punteggio di 0/1/2. Se la fonte non raggiunge un punteggio sufficiente (solitamente 30/50esimi) non può essere adottata. scarica il PDF
Assieme al DigComp, l’Unione Europea ha messo a disposizione anche una scheda di autovalutazione delle proprie competenze digitali in diverse lingue. scarica il PDF
La scheda riguarda non solo competenze prettamente informatiche, ma anche relazionali, di creazione di contenuti, condivisione ecc. La grafica non è accattivante e il linguaggio molto professionale. Lo strumento può però risultare utile per lavorare sulle competenze digitali lungo tutto il percorso scolastico dello studente. Effettuando qualche modifica nei termini utilizzati e nella grafica, è possibile proporlo in momenti dedicati ad ogni alunno, in modo che questi possa definire il proprio profilo individuale di cittadino digitale. In ognuna delle diverse categorie lo studente può dimostrarsi utente base, intermedio o esperto, evidenziando in tal modo i propri punti di forza e di debolezza. La scheda può essere ripresa nel corso degli anni e aggiornata a ogni attività proposta dai docenti sui rispettivi assi. L’attività, soprattutto nella Scuola secondaria di primo grado, può prevedere una sorta di scheda personale delle skill da acquisire, che lo studente stesso può aggiornare, aggiungendo le nuove capacità di anno in anno.
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