La parola “Medioevo”, con la quale indichiamo l’arco di quasi mille anni di storia d’Europa che, per convenzione, è fatto incominciare con la disgregazione della parte occidentale dell’Impero romano (V secolo), è composta di due parti che ne determinano il significato complessivo di età di mezzo. Definendo quei secoli “evo”, vale a dire età, implicitamente li identifichiamo come un periodo storico nel quale l’organizzazione della società assunse caratteri diversi sia da quelli che essa aveva avuto in passato sia da quelli che ebbe in seguito. Quell’evo lo chiamiamo “medio”, ma è facile capire che chi visse tra V e XV secolo non avesse mai immaginato di vivere in un’età di mezzo e che tale concetto si sia definito solo molto più tardi, quando alcuni loro posteri guardarono al passato come a una vicenda definitivamente conclusa. Fu, infatti, intorno al XV e XVI secolo che la storia della civiltà fu immaginata come divisa in tre fasi, per ognuna delle quali veniva formulato un giudizio di valore: luminosa, l’antichità classica; oscura e decadente, quella seguita alla dissoluzione dell’Impero romano; piena di nuove promesse quella che si stava vivendo, nella quale si pensavano rinati ideali simili a quelli espressi dalla civiltà antica. Venne così a formarsi, per contrapposizione, l’idea che, tra due epoche che si somigliavano, fosse esistita un’età intermedia dai tratti molto diversi, iniziata con l’irruzione dei popoli barbari, come erano chiamati tutti i non romani, nello spazio europeo, al di qua delle frontiere renane e danubiane. L’idea che fosse esistito un Medioevo nacque contrapposta e speculare a quella dell’esistenza di un Rinascimento.
I mille anni segnati dall’appannarsi degli antichi splendori sono, come si vede, gli stessi che ancora oggi chiamiamo Medioevo, e anche i caratteri con cui vennero allora connotati, rozzezza e oscurità, sono quelli stessi che hanno deformato il modo in cui ce lo rappresentiamo, generando una serie di luoghi comuni difficili da estirpare – per esempio la definizione di «secoli bui» – ripetuti ancora da molti che non conoscono bene la storia. Lo schema che si nasconde dietro a quest’idea è ancora quello rinascimentale prima, e illuministico-evoluzionistico poi, che, involgarito e semplificato, ha continuato a essere riproposto a lungo anche nella didattica di base e nei manuali scolastici, quello cioè del Medioevo come tenebra, oscurità, barbarie, con il risultato che, di quei mille anni così ricchi di eventi e trasformazioni, nelle menti degli studenti è restato sempre e solo un concetto, quello dell’invasione, evento terribile, violenza, aggressione, perdita d’identità, terra bruciata, sterilità e carestia. Questa interpretazione è stata recuperata più volte, per esempio quando nel 1972 il politologo Roberto Vacca ha utilizzato il concetto di «Medioevo prossimo venturo» (nel volume Medioevo prossimo venturo: la degradazione dei sistemi, seguito nel 1979 dall’inversione del medievista Ovidio Capitani, Medioevo passato prossimo: appunti storiografici tra due guerre e molte crisi) per indicare la prospettiva del crollo dei sistemi tecnologici dell’età contemporanea producendo una nuova civiltà fondata sulla penuria e sulla lotta per la sopravvivenza.
Non c’è studioso serio che dinanzi al concetto di Medioevo non reagisca ponendo immediatamente la domanda: quale?, poiché – anche in virtù dei mille anni ai quali si riferisce, ma non solamente per questo – esiste un Medioevo barbarico, ma ce n’è anche uno di raffinata cultura; uno rurale e uno cittadino; uno illetterato e uno colto; un Medioevo superstizioso e uno razionalista; un Medioevo guerriero e uno disarmato e mercantile… Essendo un punto di riferimento così duttile, il Medioevo è stato periodicamente rivisitato da parte della cultura occidentale, finendo per essere interpretato sia in maniera assolutamente negativa sia in maniera molto positiva. Per esempio, i romantici apprezzarono un’epoca nella quale ritenevano fosse stata esaltata al massimo la componente irrazionale dell’individuo; e oggi c’è chi guarda al Medioevo come alla stagione della natura incontaminata, in alternativa alle contraddizioni dell’età postindustriale. Non si tratta qui, evidentemente, di dare voti alla storia, né mai questa pratica risulta di qualche utilità, quanto di tener presente che per gli occidentali il Medioevo si presta particolarmente bene a ogni riflessione sul rapporto tra passato e presente perché è, prima di un’età storica, un luogo del loro immaginario collettivo.
Di fronte a tanta varietà di situazioni e d’interpretazioni, si presenta come principale elemento unificante della storia del Medioevo il fatto di riferirsi soprattutto all’Europa, ed è facile comprenderne il motivo.
Se si considera che i punti di riferimento – cronologici e soprattutto concettuali – per la nascita stessa dell’idea di Medioevo furono rappresentati dalla trasformazione del mondo romano e dallo sforzo di recuperare, mille anni dopo, la cultura dell’antichità classica, ciò significa, quasi automaticamente, che quando utilizziamo il termine Medioevo ci stiamo riferendo allo spazio sul quale si dispiegò la civiltà latina e che, dunque, esso può essere usato correttamente solo quando si parli della storia del continente europeo e delle civiltà che con esso entrarono in relazione, quelle appunto sulle quali si era a suo tempo disteso l’Impero. Ciò non rende, certo, inutile conoscere anche che cosa accadde, nello stesso arco di tempo, in Cina o in India. Significa solo che è sostanzialmente privo di significato storico parlare, come talvolta si fa, di Medioevo cinese o Medioevo indiano: come ha spiegato Paolo Delogu, si tratta di altre civiltà, con propri caratteri e diversa organizzazione sociale, che con quella del Medioevo europeo entrarono di volta in volta soltanto in contatto, anche se poterono per qualche aspetto e in qualche momento somigliarle.
Data la complessità dei processi che si misero in atto, è ovvio che l’inizio di questa fase millenaria non può essere fissato in un anno, perché non fu in un anno che l’Impero di Roma si dissolse, né che andò in crisi il suo ben definito apparato statale e si avviò la trasformazione dell’assetto di un’economia fondata sullo sfruttamento del lavoro dei prigionieri di guerra; né in un solo anno fecero il loro ingresso sulla scena europea i popoli barbari, abitanti delle foreste e delle pianure semideserte contigue con il mondo romano e mediterraneo nei suoi confini nord-orientali, mettendo in moto un poderoso rimescolamento etnico.
Anche se convenzionalmente si continua a utilizzare come cesura il 476, data della deposizione dell’ultimo imperatore d’Occidente, l’avvio del Medioevo va dunque ricercato in una fascia cronologica di almeno tre secoli, dal IV al VII, quanti ne occorsero perché si realizzasse una serie di importanti cambiamenti.
È evidente che, quando non si adottino formule stereotipate, è impossibile considerare come un solo blocco questo lungo millennio.
Iniziare contando le persone è uno dei metodi più efficaci per delineare la storia di una civiltà, e durante i mille anni del Medioevo il loro numero variò più volte. Nonostante negli ultimi decenni l’archeologia, praticata su larga scala, abbia restituito tante informazioni in più rispetto a quelle di cui si disponeva in passato, i primi cinque dei dieci secoli del Medioevo sono tuttavia, anche da questo punto di vista, quelli che conosciamo con più difficoltà, perché le culture tribali germaniche penetrate nel mondo romano, prevalentemente orali, non soltanto ci hanno lasciato poche testimonianze scritte di tipo letterario e pochi testi legislativi, ma determinarono anche la scomparsa del documento scritto come strumento per convalidare e garantire le transazioni economiche. Sappiamo però che la popolazione europea diminuì in maniera inarrestabile nei secoli dello sconvolgimento delle basi della civiltà romana, sotto la spinta dell’ondata di epidemie e dell’insicurezza determinata dalle grandi migrazioni. Per parte loro le nuove popolazioni che si rovesciarono entro i confini dell’Impero, spinte a loro volta dalle potenti ondate migratorie cominciate secoli prima dall’Est e dal Nord, erano inadeguate a colmare i vuoti demografici, perché, in valori assoluti, non erano per nulla numerose: gli ostrogoti erano probabilmente appena 100 000, quanti i visigoti penetrati nella penisola iberica, e i vandali, quando giunsero in Africa, erano poco più di 80 000.
Usando la terminologia adottata dai demografi, possiamo affermare che la popolazione europea seguì un trend negativo fino al VII secolo, presentò una stagnazione ai livelli più bassi tra VII e VIII, dette segni di ripresa tra VIII e IX, seguì un trend positivo dal X, preludio all’espansione generalizzata e davvero significativa dell’XI, sempre più vorticosa nel XII e nella prima metà del XIII secolo.
A grandi linee si può ipotizzare che circa 42 milioni di persone popolassero ormai l’Europa intorno al Mille e circa 61 milioni duecento anni dopo. Indizi coincidenti confermano l’incremento demografico: crebbe la media dei figli per ogni matrimonio, ci fu un aumento forte della speranza di vita, come è chiamato il numero di anni che un individuo ha mediamente la probabilità di vivere, infine gli uomini lasciarono molte più tracce di sé in questi secoli rispetto al passato, perché i nuclei abitati si fecero più numerosi e la superficie dei campi coltivati guadagnò terreno sugli spazi incolti.
L’Europa cambiò nuovamente aspetto, assumendo per gradi una fisionomia un po’ più vicina a quella attuale: basti pensare che gran parte delle odierne città europee si è sviluppata in questa fase di espansione.
Ancora una volta, con il XIV secolo, la popolazione europea cominciò a flettere, poi, sotto l’effetto delle malattie e delle guerre, crollò in modo vistoso nel giro di cinquant’anni. La fine di quello che chiamiamo Medioevo sarà perciò contraddistinta da un nuovo recupero dei pascoli e del bosco, da una nuova contrazione dello spazio agrario e dei centri urbani.
Si comprende bene, a questo punto, in base a quali elementi gli storici abbiano identificato, all’interno del Medioevo, per comodità e convenzione, alcuni blocchi di secoli dotati di una propria coerenza interna. Tra gli studiosi italiani, le ripartizioni più frequentemente usate, pur fra molte sfumature, sono le seguenti.
Referenze iconografiche: Science History Images / Alamy Stock Photo