Come prima donna giunta al rabbinato si è soliti citare Sally Priesand, di Cincinnati (1972) 1, ma questo dato sembra oggi superato. È esistito, infatti, almeno un caso precedente: il caso di Regina Jonas, che divenne rabbina (Rabbinerin è il termine da lei stessa proposto, come femminile di Rabbiner) nella Germania degli anni Trenta, subendo poi la tragica sorte del suo popolo fino alla morte nel campo di Auschwitz. L’eccezionale vicenda, dimenticata per decenni, è stata riscoperta solo nel 1991, dopo che la caduta del Muro di Berlino ha consentito di aprire gli archivi della zona Est della città.
Regina Jonas nacque a Berlino il 3 agosto 1902, da genitori ebrei di origine polacca: in questi due semplici dati sono già delineate le strutture fondamentali che caratterizzeranno la sua ricerca spirituale e la sua esistenza: da una parte, il legame profondo con la tradizione ostjuden, cioè con la cultura giudaica dell’Est Europa, dove molto forte era il radicamento nella fede e nell’etica ebraica nella sua integralità, ma dove la condizione di vita degli ebrei non conosceva ancora alcuna forma di emancipazione giuridica o sociale; dall’altra, il rapporto costante con la cultura dell’ebraismo illuminato tedesco (Haskalah), che aveva avuto in Moses Mendelssohn (1729-1786) il principale esponente e che aveva in Berlino il più importante centro (non a caso detta “la Gerusalemme dell’illuminismo”), aperto al confronto con il mondo occidentale.
La famiglia viveva in condizioni economiche piuttosto precarie, che la costrinsero a traslocare con frequenza da una casa all’altra dello stesso quartiere popolare, il ‘quartiere dei granai’. In famiglia l’istruzione religiosa era condotta dal padre Wolf, che insegnava senza fare distinzioni tra Regina e il fratello maggiore Abraham.
Regina frequentò una scuola femminile ebraica, dimostrando un grande interesse per tutto ciò che concerneva la religiosità e la tradizione ebraica, e dichiarando presto di voler diventare rabbino. Quando poi il padre morì di tubercolosi, nel 1913, e la madre si trasferì nel quartiere Prenzlauer Berg, la giovane seguì la vita della comunità di Rykestrasse, dove sorgeva una grande sinagoga in cui prevaleva la componente conservatrice, che rifiutava di introdurre il coro misto e l'uso dell’organo, tipico della ritualità cristiana. Ancora oggi nelle comunità ortodosse le donne non sono ammesse al canto religioso in pubblico, mentre l’ebraismo liberale tedesco già dopo la Grande guerra lo ammetteva.
Certo Regina era sensibile all’influenza dell’impostazione tradizionalistica, convergente con quella ricevuta in famiglia, ma ciò non le impediva di godere, nello stesso contesto, anche di stimoli di natura diversa, come l’apertura allo studio per le donne, che caratterizzava la vita della sua congregazione sotto la guida del rabbino Max Weyl 2, che la incoraggiò a studiare la Torah. Nel 1923 Regina si diplomò nel Public Oberlyzeum (scuola secondaria superiore) e nel 1924 ottenne il certificato per il Lyzeen, primo passo per intraprendere la carriera di rabbino secondo le regole introdotte con l’Illuminismo e l’Emancipazione. In questa fase riscosse grande successo un discorso da lei tenuto alla scuola religiosa di Annenstrasse, ottenendone l’assunzione come insegnante da parte del rabbino tradizionalista Isidor Bleichrode. Nel 1925 poté, quindi, iscriversi alla famosa Hochschule für die Wissenschaft des Judentums, l’università fondata nel 1872 con l'obiettivo di portare la cultura ebraica a essere oggetto di disciplina scientifiche, non finalizzate esclusivamente alla preparazione rabbinica.
È qui che per la tesi di laurea - fortunatamente conservata - le venne assegnato il tema: “Possono le donne officiare come rabbini?”. La giovane, che già nell’introduzione utilizzava il termine di Rabbinerin, costruì la sua argomentazione facendo notare il mutamento storico cui è soggetta anche la dimensione religiosa, compreso il ruolo del rabbinato; inoltre, mise in luce come, nella fede ebraica, lo studio teologico non fosse mai stato propriamente vietato alle donne, ma come semmai determinati compiti loro preclusi – come la lettura pubblica della Torah – fossero il risultato di una prassi affermatasi in contesti e fasi precise. Nella sua disamina dimostrava che nessun compito del rabbino era da intendersi come esclusivamente maschile; sottolineava anzi come in determinati ambiti la donna fosse più adatta rispetto l’uomo, come nel campo dell’insegnamento, dell’educazione, della medicina. La conclusione a cui arrivava era, quindi, favorevole al rabbinato rivestito dalle donne:
È dimostrato, io credo, che in qualsiasi epoca quando le donne hanno desiderato e sono state in grado di esprimere se stesse, sulla loro via non si è messo alcun ostacolo per quanto il loro lavoro era di valore e condotto in una via di verità. Non si incontrano immaturità religiosa, eccessivo isolamento, falso pudore, disattenzione, frivolezza né ignoranza da parte di queste donne; anzi, sono ornate di salvezza, coraggio, gentilezza e dolcezza. Naturalmente anche loro hanno commesso degli errori, ma il re Davide non ha forse commesso peccato? Questo è dovuto alla debolezza umana che si trova sia negli uomini che nelle donne 3.
Pur dopo un’analisi così pacata, non le venne subito conferito il diploma di rabbino, per l’opposizione del rettore della Hochschule, esponente dell’ebraismo tradizionalista. A quel punto il presidente del Collegio rabbinico, Leo Baeck 4, le consigliò di non scatenare conflitti, ma di procedere gradualmente. Regina accettò così, con un certificato di insegnante di religione con formazione accademica, di lavorare nelle scuole femminili. Nel frattempo, determinata a raggiungere il suo obiettivo, continuò a studiare sotto la guida del maestro Max Weyl, finché cominciò a profilarsi la possibilità di una “ordinazione privata”: nel 1935, cinque anni dopo la laurea e dopo un ulteriore esame presso il rabbino liberale Max Dienemann, ottenne la sospirata Hatarat Hora’a, il diploma di rabbino.
Regina cominciò così il suo ministero in diverse istituzioni ebraiche, presso case di riposo e scuole, dove si dedicava con una particolare disposizione. Nel ’37 fu assunta presso la sinagoga di Oranienburgerstrasse, dove svolse il ruolo di insegnante, partecipò all’officiatura delle funzioni dello Shabbath, tenne sermoni e continuò la sua opera sociale.
Dal punto di vista religioso Regina Jonas si diceva assolutamente ortodossa e sosteneva che le sue idee sull’uguaglianza fra uomo e donna non nascevano dalla frequentazione dei movimenti femminili. È tuttavia poco credibile che non sia stata influenzata dai gruppi del primo femminismo tedesco, se non altro per l’impegno a favore della promozione della donna: appoggiava, infatti, la Jüdische Frauenbund, il movimento che faceva capo a Bertha Pappenheim 5, nata come federazione tra le associazioni femminili ebraiche di Germania, favorevole al suffragio e all’istruzione paritaria delle donne, nonché attiva contro la tratta e la prostituzione. Certo le tesi di Regina si avvicinavano più all’idea di equivalenza di genere, che non di parità dei sessi. Ai giornalisti che le chiedevano come mai avesse intrapreso una strada tanto impervia, rispondeva che sperava in un tempo in cui non ci sarebbero più state domande simili.
Mentre Regina raggiungeva popolarità e soddisfazione personale, sempre più richiesta dagli ebrei progressisti, esplodeva in Germania la politica razzista del Terzo Reich, che culminò nella tragedia della Shoah. Dopo le prime deportazioni di rabbini, Regina venne assegnata alle comunità rimaste senza guida, sempre più numerose. Nella festa ebraica di Shavuot del 1939 sostenne che il periodo nazista era una prova del fuoco per gli ebrei tedeschi, che avrebbero dovuto assumersi il compito di garantire un futuro per ‘Israele', portando avanti l’opera degli antenati del popolo ebraico. Nel 1941 Jonas fu arruolata per il lavoro in fabbrica, dove continuò il suo impegno di rabbina nell’assistenza spirituale e sociale. Pur avendo la possibilità di emigrare, rimase al suo posto. Nel 1942, assieme alla madre, fu inviata ai lavori forzati e internata a Theresienstadt, dove lavorò come conferenziera dell’Istituto ebraico e come assistente del neuropsichiatra Viktor Frankl. Nell’elenco delle conferenze tenute nel ghetto risulta che molte di queste ebbero lei come relatrice.
La lista del trasporto diretto ad Auschwitz il 12 ottobre 1944 riporta il nome di Regina Jonas, numero di deportato 9690-I/77. Professione: Rabbinerin.
Immagine in apertura:
Una fotografia della rabbina Regina Jonas (1902-1944).