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Il fascismo e le donne, di Cecilia Cohen Hemsi Nizza | AGORÀ. Storia Filosofia Geografia Arte Educazione civica | Aree disciplinari | Sanoma

Scritto da Cecilia Cohen Hemsi Nizza | ott 24, 2022

CONTESTO STORICO E CULTURALE

Il bisogno di partecipazione politica e sociale

Quello della partecipazione femminile alle fasi iniziali del fascismo, dalla fondazione dei Fasci di combattimento alla marcia su Roma1, è un aspetto trascurato dalla storiografia ufficiale. Ma è poi importante questo aspetto? Sì, se si considera che durante la Prima guerra mondiale le donne erano state indispensabili nella sostituzione degli uomini al fronte. Furono impiegate nei campi, ma anche nelle fabbriche, dalle quali erano precluse in base alla legge del 1902 che riteneva questo lavoro “pericoloso”. E proprio tale esperienza rafforzò, nel dopoguerra, la loro intenzione di non essere smobilitate. In questo contesto alcune donne videro nel movimento che portò alla nascita dei Fasci italiani di combattimento un’opportunità per raggiungere i propri scopi.

I Fasci italiani di combattimento

I Fasci italiani di combattimento nacquero a Milano il 23 marzo 1919 nell’assemblea di piazza San Sepolcro presieduta da Benito Mussolini, che tenne il discorso programmatico2. Presentandosi come “movimento fascista", come “antipartito”3, alternativo cioè ai partiti conservatori e di sinistra, e propugnando una rivoluzione nazionale che portasse al governo una nuova classe dirigente, il movimento dei Fasci vide una partecipazione variegata, non soltanto di uomini ma anche di donne, come vedremo di seguito. La maggior parte erano reduci di guerra, già interventisti, ma non mancavano anarchici, repubblicani, sindacalisti rivoluzionari e socialisti, soprattutto tra i soldati smobilitati che non trovavano le condizioni per reinserirsi nella vita civile. Ma quando, nel novembre 1921, i Fasci si trasformarono nel Partito nazionale fascista, Mussolini, alla ricerca di un maggior consenso nella borghesia agraria e imprenditoriale, iniziò a tenere a freno le spinte rivoluzionarie e repubblicane alla base del “sansepolcrismo” per non suscitare l’ostilità della Corona e delle Forze armate.

La presenza femminile e il “programma” di San Sepolcro

Tra il 1919 e il 1922 si registra la presenza di alcune donne, tra cui Giselda Brebbia, Luisa Rosalia Dentici, Maria Bianchi, Fernanda Ghelfi Pejrani (o Peyrani), Paolina Piolti De’ Bianchi, Cornelia Mastrangelo Stefanini, Ines Norsa Tedeschi, Regina Teruzzi e Gina Tinozzi, ma di molte le biografie sono scarsamente documentate, se non del tutto mancanti. Si può desumere da quello che è giunto fino a noi che appartenevano a tutti i ceti sociali e avevano diverse appartenenze politiche: alcune, come lo stesso Mussolini, venivano dal Partito socialista e dal sindacalismo rivoluzionario; altre erano nazionaliste e interventiste, soprattutto quelle originarie delle regioni nord-orientali della penisola; altre ancora venivano dall’irredentismo, che aveva spinto il Paese verso la Prima guerra mondiale e che ora si batteva per il riconoscimento della sovranità italiana sulla Dalmazia, Istria e Fiume.

Le donne del primo fascismo credettero che il movimento potesse soddisfare il loro bisogno di partecipazione politica e sociale. L’assemblea di San Sepolcro proponeva infatti un «programma nazionale di un movimento sanamente italiano. Rivoluzionario perché antidogmatico e antidemagogico; fortemente innovatore, perché antipregiudizievole», che prevedeva, tra l’altro, il diritto di voto per le donne, il divorzio e l’equiparazione nel trattamento giuridico tra figli legittimi e illegittimi.

L’ambivalenza del regime

Ben presto tuttavia le aspettative femminili vennero deluse. Il regime le aveva prese in considerazione soltanto per motivi di propaganda, mentre andava via via elaborando una politica di integrazione delle donne nel contesto di una società autoritaria.

Si rileva quindi progressivamente una sorta di ambivalenza: da una parte, la volontà politica di restaurare i rapporti tradizionali all’interno della società, dall’altra, quella di dare al tema dell’emancipazione femminile un’interpretazione utile al regime, mettendo in atto una serie di attività in cui coinvolgere le donne, come lo sport, il tempo libero, il dopolavoro, l’associazionismo: insomma, un «sano femminismo contrapposto al vano femminismo!» 4

La firma del Concordato con la Chiesa, l’11 febbraio 1929, contribuì a virare l’ideologia fascista in senso conservatore. Il 31 dicembre 1930 papa Pio XI emanò l’enciclica Casti Connubii, in cui si riaffermava il valore del sacramento del matrimonio e i doveri degli sposi come la reciproca fedeltà, il mutuo e caritatevole amore e la retta e cristiana educazione dei figli.

L’integrazione delle donne nel contesto del regime

La prima fase della partecipazione femminile (1919-1926), del cosiddetto “femminismo fascista”, o quanto meno della sua illusione, andò esaurendosi con l’instaurazione della dittatura.

Ad essa ne seguì una seconda (che terminò con la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943), caratterizzata da una precisa politica di integrazione delle donne nelle strutture del regime. Fu inaugurata da un programma di riforme volte alla protezione sociale delle madri e dei bambini, con la creazione nel 1925 dell’Onmi (Opera nazionale maternità e infanzia), preludio alla campagna demografica lanciata con queste parole il 26 maggio 1927 da Mussolini nel cosiddetto “discorso dell’Ascensione” alla Camera dei deputati: «Signori, l’Italia, per contare qualche cosa, deve affacciarsi sulla soglia della metà di questo secolo con una popolazione non inferiore ai 60 milioni di abitanti» 5.

Pur non citando apertamente le donne, era chiaro che fossero loro le destinatarie di quel discorso. La crescita della popolazione significava sia agevolare le imprese creando manodopera sia favorire la futura creazione dell’impero.

Allo scopo di diffondere l’ideologia fascista attraverso programmi di educazione “spirituale”, sportiva e paramilitare, nel 1937, fu fondata la Gioventù italiana del Littorio, sotto il controllo diretto del partito, organizzazione nella quale confluirono tutte quelle create sin dal 19196.

Per quanto riguarda le donne, vennero create strutture femminili simili a quelle maschili: le Piccole Italiane, dagli 8 ai 13 anni, le Giovani italiane, dai 14 ai 18 anni, tutte dotate di divise e tessera. Erano previste attività ginniche, di gioco e culturali. Dai 18 ai 21 anni, prima di essere ammesse nel Fascio, entravano nelle Giovani fasciste, gruppo che aveva il compito di educare alla “fede fascista”. Nel 1930, come i coetanei, furono integrate dal Gran consiglio del fascismo nei Fasci giovanili di combattimento con l’obbligo di partecipare al “sabato fascista”, la giornata dedicata ad attività di diverso genere. Quella ginnica rispondeva all’esigenza del regime di forgiare una gioventù “gagliarda” e fisicamente prestante, e per le ragazze di assolvere alla loro funzione di madri di tanti figli sani.

Le donne vennero del tutto escluse dalla politica; nel 1925 era stato loro riconosciuto il diritto di voto nelle elezioni amministrative, ma fu abolito subito dopo quando il regime instaurò la dittatura.

L’ultima fase della partecipazione femminile

Vi fu una terza fase della partecipazione femminile, quella della Repubblica sociale italiana (Salò, 1943-1945), ma anche della Resistenza, che vide confrontarsi e combattere due diverse tipologie femminili: da una parte, le ausiliarie, arruolate volontarie, dai 18 ai 35 anni, nel Servizio ausiliario femminile, integrato nelle forze armate della Rsi con compiti di assistenza e supporto ai combattenti; dall’altra, le partigiane, inquadrate con i compagni nelle formazioni militari in lotta contro il nazifascismo.

RITRATTI

Regina Terruzzi, dalle battaglie socialiste alla marcia su Roma

Regina Terruzzi, nata a Milano nel 1862, è un esempio significativo della commistione ideologica che regnava nel fascismo dei primi anni. Proveniente dal Partito socialista, impegnata nella difesa delle donne lavoratrici, nella lotta contro l’analfabetismo e contro lo sfruttamento del lavoro minorile, seguì il percorso del suo compagno di partito, Benito Mussolini, partecipando alla fondazione dei Fasci a piazza San Sepolcro.

Ancora nel Partito socialista, impegnata tra l’altro nella battaglia per il diritto allo studio delle donne, nel 1897 aveva ottenuto dal Ministero una sezione femminile nell’Istituto (maschile) Cattaneo di Milano. Nel 1913 aveva fondato, insieme con Anna Kuliscioff 7, l’Unione femminile socialista. Con l’inizio della guerra, per la sua posizione interventista, lasciò il partito e durante il conflitto rafforzò la sua amicizia con Mussolini indicandolo come futuro “console d’Italia”8.

Regina partecipò alla marcia su Roma, ma alla nascita del governo Mussolini fu critica verso la violenza esercitata dalle squadre fasciste contro gli oppositori. Abbandonò la politica attiva quando fallì il suo tentativo di promuovere una sottoscrizione in favore della figlia di un ferroviere comunista, Erminio Andreoni, ucciso dai fascisti. In quella occasione, così scrisse a Mussolini: «Il popolo che resta indifferente alla persecuzione di una bambina innocente si avvia alla barbarie oscura, non alla radiosa civiltà sognata dall'Eccellenza Vostra»9. Tuttavia, non divenne ostile al regime, ma entrò in una cerchia femminile piuttosto elitaria impegnata in una più ampia integrazione delle donne nei quadri dirigenti delle corporazioni. Uno sforzo inutile, perché vi potevano accedere soltanto quelle che erano in possesso di una laurea in legge o in scienze politiche, e non erano più di 40. Morì nel 1951.

Squadrista e “martire” del regime: Ines Donati

Tra le fasciste della prima ora si distinguevano due categorie sociali, cui corrispondevano due tipi di attiviste: quelle più moderate, che si occupavano di assistenza e di opere caritatevoli, e le militanti, cioè impegnate in azioni sul campo. Le prime erano maggioritarie, anche perché rientravano nel progetto del regime di realizzare l’ideale della “nuova italiana”; le seconde rappresentavano invece una minoranza, tra cui vanno comprese le “squadriste”, che partecipavano ad azioni violente. Tra queste Ines Donati, nata nel 1900. Nazionalista convinta, vide nel fascismo un baluardo contro «coloro che offendevano la patria». Nel 1919-1920, passato alla storia come Biennio rosso, divenne famosa per aver preso a schiaffi il deputato socialista Alceste Della Seta.
Partecipò alla marcia su Roma e fece parte della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Nel 1924 morì di tubercolosi, divenendo una “martire” del regime. Per il suo attivismo gli squadristi la chiamarono “la Capitana”.

Elisa Mayer Rizzoli e i Fasci femminili

Una diversa figura di militante attiva fu Elisa Mayer Rizzoli, nata a Venezia nel 1880 da famiglia aristocratica. Nel 1911 partì per la Libia come crocerossina per prestare soccorso ai combattenti italiani impegnati nella spedizione coloniale; successivamente, nel 1919, appoggiò l’impresa di Fiume organizzata da Gabriele D’Annunzio, fondando e dirigendo l’Associazione pro Fiume, che divenne poi Associazione delle legionarie di Fiume e Dalmazia, e infine Comitato nazionale pro Dalmazia, mentre qualche mese prima, una sua amica, Elisa Savoia, aveva fondato il primo Fascio femminile d’Italia.

Fu fortemente impegnata nel movimento interventista, organizzando un comitato di soccorso per le famiglie dei soldati bisognosi. Visse al fronte per quasi tre anni, come infermiera sui treni ospedale della Croce Rossa. Iscritta al Partito fascista, partecipò nel 1921 alla campagna elettorale e nel 1922 alla marcia su Roma. Fu militante molto attiva nell’associazionismo fascista, contribuendo a definire l’immagine della “perfetta donna fascista”. La Mayer organizzò i primi gruppi femminili fascisti e nel 1924 venne nominata ispettrice generale dei Fasci femminili.

In sostanza, la sua idea era quella di coinvolgere attivamente le donne in molteplici e precisi ambiti, pur mantenendole fuori dalla politica attiva. Elisa Mayer rappresentò la classe alto borghese o nobile, che mise a disposizione del movimento la propria ricchezza e le proprie conoscenze altolocate. Nel 1920 aveva creato l’Associazione nazionale delle Sorelle dei Legionari 10 di Fiume e della Dalmazia, ma alle gerarchie fasciste questo attivismo non andava bene. Nel 1926 fu costretta a dimettersi da ispettrice generale dei Fasci femminili e nel 1930 venne interrotta la pubblicazione della rivista “Rassegna femminile italiana”, nata nel 1925 e da lei finanziata. Morì a Milano pochi mesi dopo, nel giugno 1930.

 

Immagine d'apertura:  Archivio Bruni/Gestione Archivi Alinari, Firenze
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